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Liberi e pensanti: “Ilva, non commettiamo gli errori del passato”

Pubblicato | da Redazione

Una fabbrica in cui si lavora in presenza l’amianto tra impianti vecchi di sessant’anni. Una fabbrica in cui da un anno vige un ordine di servizio che “vieta ai lavoratori di portare le tute da lavoro a casa perché potrebbero essere cancerogene”. Una fabbrica in cui “il giorno 12 non è più il giorno di paga onesta per un onesto lavoro ma il prezzo con cui ci ricattano rendendoci complici e vittime di un lavoro che di onesto ha solo il nostro sacrificio e il nostro rischio quotidiano”.

Sono alcuni stralci di un lungo volantino a firma del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti distribuito dinanzi alle portinerie dello stabilimento Ilva di Taranto. Più che di un volantino si tratta di un parallelo tra le vicende di due città siderurgiche: Taranto e Genova. Per il Comitato dell’apecar  “Taranto è stata scelta come una vittima sacrificale già dal lontano 1984, quando l’Italsider di Genova chiuse l’attività di laminazione a caldo, beneficiando degli speciali compensi pubblici previsti sia dalla CEE sia dal Governo Italiano”.

E così mentre a Genova “le parti sociali e la classe politica, guardavano avanti con lungimiranza, dismettevano le aree fusorie sfruttando i dati della perizia epidemiologica, programmando lo sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti del territorio (restituendo alla città terreni su cui insisteva la fabbrica), potenziando l’area a freddo con la tutela dei livelli occupazionali ed elaborando e gestendo progetti di pubblica utilità (impiego dei lavoratori in esubero in lavori socialmente utili). Taranto è stata scientemente sacrificata con uno schema preciso. Lo spostamento della produzione da Genova a Taranto è la prova provata che la classe politica, sindacale e industriale ionica non è mai stata in grado di guardare al futuro del territorio e anziché cercare di sviluppare alternative, si è sempre assoggettata alle scelte dello Stato, ricavando al massimo assunzioni e appalti che hanno sempre alimentato un sistema clientelare, facendo piombare Taranto in quello che oggi possiamo affermare come un disastro sociale ed economico annunciato: inquinamento, disoccupazione dilagante, morte, distruzione del territorio e del mare”.

Il Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti quindi chiede “come accaduto a Genova che sia elaborato anche per Taranto un accordo tra tutte le parti sociali e il Governo attraverso cui tutelare e garantire la salute di operai e cittadini e la salvaguardia dei livelli occupazionali dei dipendenti e dell’indotto anche attraverso l’elaborazione e l’attuazione di progetti di pubblica utilità (impiego dei lavoratori in esubero in lavori socialmente utili); attraverso la chiusura programmata e la demolizione dello stabilimento (a carico dello Stato e utilizzando i fondi di coesione europea) che sarà oggetto della riconversione, impiegando i lavoratori (Ilva e indotto) nello smantellamento di tutte le strutture impiantistiche, meccaniche ed elettriche. Bonifica, previa nuova formazione di tutti i lavoratori (utilizzando il Fondo Sociale Europeo e/o i fondi per la formazione continua per i dipendenti d’imprese private che sarebbero di competenza della Regione Puglia), del suolo, del sottosuolo e delle falde.
Mobilità lunga finalizzata al prepensionamento con un accordo, come avvenuto in passato (nel 13/03/1994, siglato tra Ministero del Lavoro, azienda, Intesind e sindacati) che stabilisca costi, modi, tempi e beneficiari. Nel 1994, un anno prima della privatizzazione a favore del Gruppo Riva, lo Stato con un accordo ad hoc, concesse un cospicuo pacchetto (migliaia) di prepensionamenti programmati di operai e dirigenti della siderurgia pubblica e privata, cui si aggiunsero altri ammortizzatori sociali.
Incentivi alla fuoriuscita volontaria (da quantificarsi e a carico dello Stato) e accesso al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG/FEAG) per offrire un sostegno ai lavoratori “in esubero in conseguenza di trasformazioni rilevanti della struttura del commercio mondiale dovute alla globalizzazione, nei casi in cui tali esuberi abbiano un notevole impatto negativo sull’economia regionale o locale. L’unica vera scommessa che il nostro territorio deve vincere, salvaguardando lavoro e salute, sarà la chiusura programmata di tutte le fonti inquinanti, bonifica, formazione e reimpiego degli operai che garantirebbe lavoro per i prossimi decenni, sviluppando inoltre, manodopera altamente specializzata. Negli anni ’60 prima e negli anni ’90 poi, fu fatta la scelta sbagliata (come lo stesso Napolitano ha ammesso), facciamo in modo di non ripetere gli stessi errori”!