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Sciopero Ilva, il sindacato ci riprova con l’incubo dell’apecar

Pubblicato | da Michele Tursi

Era il 2 agosto del 2012 quando le insegne di Cgil, Cisl, Uil e Fim, Fiom, Uilm sventolarono per l’ultima volta tutte insieme a Taranto per chiedere certezze sul futuro dell’Ilva. Quella giornata finì con la Camusso e Landini spiazzati dall’irruzione dell’apecar del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti che si presentó come terza via tra l’industralismo del sindacato confederale e i movimenti ambientalisti. Dopo quasi quattro anni, tanti silenzi, molte contraddizioni e nove decreti del Governo Cgil, Cisl e Uil ci riprovano e Taranto sembra tornata al punto di partenza. Anzi, più indietro.

Il Governo, infatti, ha smentito se stesso: dopo una quasi statalizzazione a colpi di commissari e un fallimento pilotato, ora non vede l’ora di consegnare l’Ilva ai privati, mentre i Riva fanno ferro e fuoco per bloccare la privatizzazione.
La time line fissata da Renzi scade il 30 giugno ed entro il 10 febbraio 2016 gruppi e aziende interessate all’Ilva devono avanzare le manifestazioni di interesse. Nei giorni scorsi Genova è insorta a seguito del mancato rispetto del protocollo d’intesa sulla ricollocazione degli operai degli altiforni dismessi, Taranto è rimasta a guardare silente e un po’ stordita. Ma soprattutto allineata e coperta, completamente appiattita sulle posizioni del Governo e del Pd che non ha perduto occasione per propagandare i vari decreti salva-Ilva come provvidenziali e risolutivi. Così risolutivi che, alla fine, persino il mansueto e, talvolta, addomesticato sindacato confederale ora alza la voce.

Una rondine non fa primavera e, quindi, non basta urlare, ma bisogna anche capire cosa si urla. La sensazione è che il sindacato voglia tornare a svolgere un ruolo da protagonista approfittando anche del vuoto e dell’inconsistenza politico-istituzionale del territorio ionico. Ma a fare da sparti-acque c’è sempre Ambiente svenduto: la Taranto del 10 febbraio 2016 è profondamente diversa da quella di quattro anni fa ed il vero nodo gordiano non è stato ancora sciolto: cosa mette in campo questo territorio oltre l’Ilva e dopo l’Ilva? Giocando sempre in difesa, prima o poi si prende il gol e la rimonta non sempre riesce.

Con lo sciopero di quattro ore e la manifestazione cittadina del prossimo 10 febbraio che si concluderà sotto la Prefettura con la consegna di un documento unitario, il sindacato rilancia due questioni. La prima di carattere più strettamente rivendicativo  riguarda la partita degli ammortizzatori sociali e la tenuta occupazionale, l’altra attiene il confronto con il Governo.

“L’emendamento che ristabilisce al 70% l’integrazione salariale per i lavoratori in solidarietà – ha detto Giancarlo Turi, segretario generale della Uil – è il minimo sindacale ma serve una discussione più ampia e deve cessare la politica degli interventi tampone”. Secondo Antonio Castellucci, segretario generale della Cisl di Taranto e Brindisi, “con la vicenda Ilva ci giochiamo un pezzo dell’economia non solo italiana ma europea. Dobbiamo avere attenzione ai massimi livelli. Ci auguriamo che si apra un tavolo di confronto vero con il Governo”.
“Vogliamo rimettere al centro i lavoratori – ha spiegato Giuseppe Massafra, segretario generale della Cgil ionica – e vogliamo che questo sciopero e questa manifestazione siano inclusive. Abbiamo già avuto l’adesioni di alcuni comuni: Taranto, Grottaglie, San Giorgio Jonico e persino da Novi Ligure. Anche Confindustria parteciperà con una delegazione”.
Dai partiti il silenzio più assordante, a cominciare dal Pd.