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Legambiente: Non c’è green new deal per Taranto senza bonifiche e VIIAS

Pubblicato | da Redazione

“Un green new deal per Taranto non può non partire dalla bonifica e dalla valorizzazione del territorio e, aggiungiamo, non può prescindere dalla possibilità di produrre acciaio senza far uso del carbone non nel 2050, ma anche in scenari più ravvicinati e cominciare fin da ora a costruire le condizioni affinché, in un futuro ravvicinato, la produzione di acciaio sia totalmente “decarbonizzata”, attraverso l’introduzione di tecnologie innovative e impianti capaci di abbattere drasticamente le emissioni inquinanti”.

Lo afferma Legambiente Taranto in un documento in cui esamina l’esito della VIIAS (Valutazione integrata di impatto ambientale e sanitario), condotta sulle emissioni reali del 2015 dell’ex Ilva che “mostrano per Taranto un rischio sanitario fortemente diminuito rispetto al 2010, ma ancora non accettabile per i residenti nel quartiere Tamburi e confermano la necessità e l’urgenza di procedere ad una valutazione basata innanzitutto sugli attuali scenari emissivi che potrebbero differire da quelli del 2015 sia in ragione della effettuazione di alcuni degli interventi previsti dal Piano Ambientale in vigore, sia della maggiore vetustà degli impianti”.

Altrettanto urgente, secondo Legambiente “in questa situazione di grande confusione sul futuro dello stabilimento tarantino e del suo assetto produttivo, risulta la VIIAS relativa agli scenari previsti – ad interventi completati – sia per la capacità produttiva, attualmente autorizzata, di 6 milioni di tonnellate, sia, a maggior ragione, per quella autorizzata dopo il completamento del Piano Ambientale, cioè dopo il 2023,- di 8 milioni di tonnellate annue di acciaio. Dal provvedimento di riesame dell’AIA disposto dal Ministro Costa che stabiliva “… siano preliminarmente effettuate le verifiche sugli effetti sanitari sia sulla base dello scenario emissivo riferito alla produzione di 6 milioni di tonnellate/anno di acciaio attualmente autorizzata che di quello previsto al completamento degli interventi elencati nel DPCM del 29 settembre 2017…” sono passati ormai 5 mesi: che si aspetta?”

Legambiente ritiene che “le capacità produttive autorizzate vadano da subito commisurate agli esiti della VIIAS e se, come riteniamo probabile, si verificherà il permanere di rischi superiori agli standard sanitari, esse andranno ridotte predisponendo, contestualmente, strumenti utili – sia in termini di ammortizzatori sociali che per individuare alternative occupazionali – relativamente ai lavoratori che risultassero in esubero alla fine del confronto tra sindacati e azienda. Sulla scorta dei solidi dati scientifici forniti dalla VIIAS pensiamo possa anche essere affrontato con maggiore cognizione di causa il tema delle responsabilità durante l’attuazione delle misure previste dall’A.I.A. e restituita serenità ai lavoratori e certezza ai cittadini sulle condizioni necessarie affinché non ci siano in futuro altri morti da immolare sull’altare delle esigenze produttive”.

Ma se la VIIAS è la bussola per orientarsi in quella che può presto diventare una tempesta perfetta, “ci sono temi collegati – prosegue Legambiente – come le bonifiche e il CIS, il Contratto Istituzionale di Sviluppo, propedeutici ad un possibile diverso sviluppo di Taranto, che esigono di essere affrontati con pari urgenza per cominciare a costruire una alternativa, anche parziale, alla grande industria, in tempi che risultino ragionevoli e non biblici. Sul tema delle bonifiche, sia interne che esterne allo stabilimento, continua infatti a regnare il buio più totale. Che si aspetta a farle partire davvero? Come hanno impiegato finora i Commissari di Ilva in Amministrazione Straordinaria le ingenti risorse rivenienti dalla transazione con la famiglia Riva e destinate alla bonifica delle aree interne allo stabilimento? Che aspetta il Governo a convocare i Commissari e ad esigere un cronoprogramma dettagliato e cogente degli interventi da effettuare nei prossimi mesi ed anni? Perché, a distanza di ormai 17 mesi dal bando, il Commissario alla bonifica di Taranto non procede agli affidamenti per i primi interventi di bonifica del Mar Piccolo attraverso la realizzazione degli interventi di risanamento ambientale e messa in sicurezza dei sedimenti? Sono passati 6 anni e 9 mesi dalla nomina del primo Commissario alla bonifica di Taranto e ancora dal Mar Piccolo sono stati a malapena raccolti una parte dei rifiuti depositati sui fondali”.

Legambiente è perentoria: “La bonifica di un territorio stuprato da decenni di sversamenti di veleni, non solo del siderurgico, è un atto dovuto da uno Stato che non può dimenticare le sue responsabilità: cosa deve fare questa città per ricevere l’attenzione che le è dovuta per il sacrificio di tante vite umane che ha dovuto sopportare? Il cambio di governo ha cancellato l’impegno preso da tanti – allora – Ministri a tornare a Taranto a settembre con impegni precisi sul CIS. Oggi, superando i generici appelli a fare presto, va evitato il rischio di un nuovo blocco, di ulteriori mesi persi. Ma quanto ci vuole a creare davvero il polo museale dell’Arsenale? E quando si darà seguito alla promessa di una rinascita della Città Vecchia? Non è retorica; sono domande vere, che si fanno tanti cittaduni di Taranto ed a cui continuano a non venire risposte. Da anni, di volta in volta, si evoca o si invoca un piano B, ma il primo problema è che non sembra esserci neanche un Piano A degno di questo nome, fondato su elementi certi e non sulle sabbie mobili, frutto di una strategia che tenga insieme modernizzazione, innovazione e diversificazione, idee e risorse, e concretamente coniughi lavoro, ambiente e salute”.

Infine la riflessione riportata in apertura che vogliamo ribadire: “Un green new deal per Taranto non può non partire dalla bonifica e dalla valorizzazione del territorio e, aggiungiamo, non può prescindere dalla possibilità di produrre acciaio senza far uso del carbone non nel 2050, ma anche in scenari più ravvicinati e cominciare fin da ora a costruire le condizioni affinché, in un futuro ravvicinato, la produzione di acciaio sia totalmente “decarbonizzata”, attraverso l’introduzione di tecnologie innovative e impianti capaci di abbattere drasticamente le emissioni inquinanti”.